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mercoledì 2 settembre 2015

Ponte di Mezzo, Pisa Centrale: andata e ritorno - Da "Le proiezioni nella stanza 5" di Tiziano Consani


Sono seduto sulla tribuna posta sulla parte di tramontana, quella sul lungarno Mediceo, e sto osservando il Gioco del Ponte che è iniziato. Il sole batte ancora forte e i combattenti stanno mantenendo la posizione del carrello ben ferma al centro, esattamente fissa. Sono troppo lontano per vedere le facce tirate e sotto sforzo di coloro che, dopo quasi un anno di ferrei allenamenti, stanno cercando di rendere onore, ciascuno, per le proprie fazioni di appartenenza: Mezzogiorno e Tramontana. La voce che esce dagli altoparlanti è quella di Ferruccio Bertolini, calcesano D.O.C., rende tutti partecipi dello sforzo sostenuto dagli uomini, aggiornando, in diretta, sugli attacchi che i capitani delle singole squadre, momento per momento, comandano ai loro uomini. Nonostante che l'atmosfera sia carica di tensione e di folclore pisano, accanto a me, alcuni turisti stranieri ed altri di nazionalità italiana, battibeccano con due dei nostri concittadini su cose, direi, assurde, per un pisano come me e del tipo: fa caldo, c'è troppa afa, non c'è il tendone, c'è troppa gente, il carrello sul ponte sta fermo troppo a lungo, mi son venuti due palloni da basket, i combattenti si son messi d'accordo fra loro e fanno finta di spingere per far durare il gioco più a lungo e, in ultimo, guarda quello lì, con il frac e il cappello a cilindro, in tinta nera unita, che cosa ce l'hanno messo a fare sulla tribuna, conciato a quel modo e che cosa c'entra, lui, con questo gioco. Per quest'ultimo elemento, effettivamente, anch'io, non capisco che cosa ci stia a fare quello strano tipo, fra l'altro proprio seduto accanto a me, alla mia sinistra. La curiosità verso quel personaggio mi fa perdere l'attenzione dal gioco. Ogni tanto, giro la testa verso di lui e lo osservo. Mi chiedo quanto sia proprio ridicolo e, come faccia, con questo caldo a stare dentro il suo completo scuro. Assomiglia ad un lord inglese d'altri tempi. Mentre lo guardo, lui si volta verso di me e, nel nostro idioma pisano mi dice: "Gao! Che ci hai da guardammi 'osì!", al che, meravigliato, rispondo: " Se chiacchieri 'n pisano, ora sì, che mi fai vienì voglia di statti a guardà!, O di 'n dove vieni, te, conciato a cotesto modo 'ostì!". Lui mi guarda e tace, poi tira fuori da una tasca del frac una pipa, tutta scorticata, ne sfroona il fornello con il dito indice, tutto ingiallito e con l'unghia lunga quasi due centimetri e, senza alcuna logica, mi scuote tutto il contenuto sul piede sinistro, sbattendo la pipaccia sul mio ginocchio, ripetutamente. Mi viene voglia di dargli un man rovescio ma mi controllo e mi limito a dargli del maleducato. Lui mi guarda con fare sorpreso. Lo guardo negli occhi piccoli, profondi e rossastri: non mi piacciono affatto. Abbasso, disgustato, lo sguardo e la direzione dei miei occhi va a cadere sulle mani dello strano individuo e vedo che la pelle dei polsi e del dorso di quest'ultime è incartapecorita, sembra quella di un vecchio di oltre cento anni. Le dita son gialle come quelle di un fumatore incallito e le unghie sono lunghe, sporche e disgustose. Mi sento in disagio mentre lui, da una tasca interna del suo completo impeccabile, in forte contrasto con il corpo sciatto che lo riempie, tira fuori un piccolo scrigno circolare dorato, ne solleva il coperchio usando l'unghia lunga del suo indice come leva e ne estrae un pizzicotto di tabacco dall'odore schifoso. Lo infila nel fornello della pipa ben ripulita che teneva sempre fra le mani, ce lo pigia bene dentro utilizzando sempre il medesimo indice, ben unghiato, come ho già detto, di almeno due centimetri rispetto a quelle, seppur abbastanza lunghe, delle altre dita. Poi, sotto il mio sguardo attonito, infila una di quelle manacce nella tasca della mia camicia e ci estrae un fiammifero di legno. Lo accende sfregandolo su uno dei suoi polsi rinvecchiniti e, come se l'avesse strusciato su un pezzo di carta vetra, quello si accende e, lui, se ne serve per appiccare il fuoco al tabacco nella pipa. Nel frattempo comincia a tirar su aria dal cannello del suo odioso strumento di vizio e a tirar fuori fumo denso che, senza tanti preamboli, mi getta in faccia sotto forma di anelli dall'odore nauseante: un misto fra il puzzo della stipa bruciata e quello del letame inzuppato di piscio di un ovile. Mi alzo deciso a dargli una labbrata ma, in quel preciso istante, Ferruccio annuncia che il carrello sul ponte si sta muovendo, anzi, i combattenti della parte di Mezzogiono hanno ceduto e Tramontana ha vinto questo combattimento. Le grida di gioia degli appartenenti alla fazione vincente, me compreso, saturano l'ambiente e il resoconto in dettaglio dello spikeraggio di Ferruccio, insieme agli abbracci dei vincitori con i perdenti e viceversa, mi fa dimenticare, per alcuni minuti, l'uomo nero. Finita l'euforia del primo combattimento il gioco riprende con i combattenti del successivo turno. Nel sedermi al mio posto, mi ricordo il dove ero rimasto e mi volto, verso la mia sinistra, guadando dove prima stava l'individuo. L'uomo non c'è più ma, al suo posto, c'è il suo frac ed il suo cappello a cilindro e, sotto di esso, c'è una specie di foglio vecchio ingiallito, ripiegato, sporco, unto e fuligginoso, sembra un'antica pergamena. Sopra, in inchiostro color rosso sangue, c'è scritto un messaggio, in pisano e in una bella grafia da miniatore certosino: "O bimbo! Qui c'è un cardo cane che mi fa svaporà! Io vaggo a fummà la pipa ar mi' ber fresco! T'aspetto anco te! Vieni alla stazione, ar binario uno e piglia 'r sottopassaggio a manca! 'Un fa' tardi perché sennò 'r treno parte e, te, lo perdi! A doppo!" 
Rimango esterrefatto. Cerco di assistere ai combattimenti che stanno avvenendo sul ponte ma con il cervello fuori dalla mia abituale razionalità. Mi alzo e come un automa, a piedi, sotto il sole, arrivo fino al Ponte della Fortezza, contorno le mura del Giardino Scotto, raggiungo Piazza Guerrazzi, proseguo in via Cattaneo e, in breve tempo, raggiungo la stazione centrale. Vi entro e mi pongo davanti al binario "uno" e attendo, non so bene chi o che cosa...
Un capo stazione si accorge del mio stato poco vigile, si avvicina e mi chiede se sto bene e se ho bisogno di aiuto. Gli rispondo assente che devo salire sul treno al binario davanti a me. Lui insiste e mi chiede dove devo andare. Rispondo di nuovo di non conoscere il luogo di destinazione. Il capo stazione incalza con un: "Mi faccia vedere il biglietto!", ma io gli faccio intendere, senza pronunciare parole, a gesti delle mani, di non averlo. Allora, lui, mi dice che senza biglietto non posso viaggiare. Poi mi indica la biglietteria e mi consiglia pure di tornare a casa. "Se vuole le chiamo il 118.", aggiunge. Gli rispondo che sto bene, che non ho bisogno di niente e lo ringrazio, mentre i miei ingranaggi cerebrali pensano ad altre cose ed in particolar modo al quello strano messaggio scritto. 
Alla stazione di Pisa centrale ci sono, davanti al binario uno anche, ma non mi torna l'ultima traccia indicativa, cioè il fatto di prendere il sottopassaggio e girare a "manca", cioè a sinistra.
Sto corrodendomi le meningi sul fatto che per recarmi al binario uno occorra utilizzare il sottopassaggio, quando, invece, il binario è già lì, davanti a me e che, anche utilizzandolo, il sottopassaggio stesso, scendendo le scale, verso la direzione di sinistra, c'è il muro che delimita l'ingresso della stazione, mentre la discesa in questione permette l'ingresso ai binari dal numero due in poi, cioè quelli che si trovano sulla parte destra. La logica, nell'immediato, non mi permette di scendere gli scalini, ma qualcosa di non so che sta muovendo le mie gambe ed i miei piedi. Così mi ritrovo alla fine del sottopassaggio e, come ben so, sulla destra ho la galleria che porta ai binari e alla mia sinistra un bel solido muro.
Mi desto per un attimo appoggiandomi con le spalle al quel muro, guardando in direzione del cunicolo che ho davanti e che porta ai treni. Non faccio in tempo ad accostarmi che mi sento cadere all'indietro come se il muro dietro di me avesse la consistenza di un foglio di carta igienica. Mi spavento e con un colpo di reni riesco a ritornare al mio posto mentre sta passando una coppia di genitori con figlio al seguito. Il padre porta il bimbo, che avrà al massimo tre anni, a cavallo sulle spalle e, insieme a quella che penso sia la moglie e la mamma del bimbo, dopo aver sceso l'ultimo scalino del sottopasso, girano verso destra in direzione dei binari dandomi le loro spalle. Il bimbo però si volta, mi guarda e urla: "Babbooo, mammaaa! Guardate, guardate! Quell'òmo è sartato fòri dar murooo! O com'ha fatto? ". "O niniii, ma che dici, guà, ci manchi anco te a raccontà le bischerate! Vai, 'n tra pòo sèmo 'n sur treno e 'n quer mentre che s'arriva a Livorno, dalla tu' nonna, ti fai 'na bella dormita e smetti di pensà a chi sòrte fòri da muri!". "O com'è cotto dar sole 'r mi bèr topo, déh!" risponde la mamma a ruota. Io non faccio in tempo a salutare con una mano il bimbo che, con il collo girato verso di me, continua a guardarmi mentre una mano fredda prende il mio braccio trascinandomi dentro al muro, sotto lo sguardo pietrificato di quel bimbetto. Non credo proprio che dormirà sul treno nel tragitto di andata verso la città labronica.

Cado all'indietro sul pavimento, davanti a me ho il muro e dietro di me, dove dovrebbe essere la piazza di ingresso della stazione centrale della mia città di nascita, ho il binario uno...
Sul binario, unico, perché non ce ne sono altri, c'è un treno modernissimo, di colore rosso e verde, di quelli ad alta velocità, e, davanti a me, incitandomi a salire velocemente perché il treno è in partenza, c'è lui, l'uomo nero in frac e cappello a cilindro. Gli dico che non ho il biglietto e lui, porgendomi la sua mano unghiata, gialla e sporca, mi fa cenno che sto per perdere l'occasione, aggiungendo che il biglietto non serve e che offre lui, con vero piacere. Ho caldo, tanto caldo, sudo liquido maleodorante e puzzo come una capra e lui mi offre fresco e refrigerio eterno...

..Mi desto, indietreggio, mi volto verso il lato opposto al binario, verso il muro e inizio a correre dopo aver, per tre volte, fatto il gesto del vaffanculo con il braccio e la mano, anzi glielo dico anche: "Per te, per er tu' treno e per la tu' pipaccia che puzza di stipa strinata!". Corro verso il muro, lo attraverso, salgo le scale subito a destra e, in un baleno, sono fuori dalla stazione, quella vera, quella reale. Svelto raggiungo il Ponte di Mezzo e, arrivo, appena in tempo per ascoltare la voce di Ferruccio che annuncia la vittoria di Tramontana, anche per quest'anno 2015!


TC






Da:  LA STANZA N. 5 - Cose strane -

Ho fissato quella parete per giorni e per notti. Interminabili notti e altrettante interminabili sequenze buie di immagini. Quelle dei miei incubi, dei pensieri negativi, sicuramente dovuti ai postumi dell'anestesia, a quelli della morfina e di tutta la miscela di farmaci somministrati via endovena, con interminabili flebo.

I brevi momenti di preghiera, consentiti dal mio Credo, hanno alleviato il grigiore di quello strano scorrere di miserie. Come il vento di libeccio, con la sua azione poderosa, riesce a portare via tanta nuvolosità in poche ore.

Lo schermo-parete, così è diventato, a momenti alterni, cinema tridimensionale in quadricromia e giornale in solo bianco e nero: talvolta più nero del suo stesso stato, per far intendere meglio la precarietà della nostra breve esistenza, con le proprie immagini piatte, senza dimensioni e prospettive, rimaste impresse nei fotogrammi di una pellicola usurata e contenente figure di mostri dalle ampie fauci, pronte a ingoiarmi insieme alle mie paure.

Come fuori senno ho riso, pianto e meditato in contemporanea, raccogliendo informazioni e dati per poi poter riportare il tutto su questo foglio bianco. Ho immagazzinato il buono nel poco spazio disponibile delle mie meningi e ho cestinato il cattivo nella mia cartella di trash biologica. Ne è uscito fuori qualcosa che, nei prossimi giorni, posterò un po' alla volta su questa mia pagina.

Insomma, sceneggiature che, a raccontarle, raffigurano epiloghi di un "drogato", certo non per propria scelta. Episodi che possono capitare a chiunque, visualizzabili in semplici sogni o atroci incubi. Cose strane che mi hanno fatto riflettere. Pertanto le ho volute raccontare.


TC