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giovedì 3 settembre 2015

"Scorfano, il graffitaro" - Da "Le proiezioni nella stanza 5" di Tiziano Consani


- I Capitolo - 


LEI

15 dicembre 2014, ore 16:30 . Non poteva essere vero! Non in questo momento della sua vita! Appena dieci minuti prima, seduto accanto al grande focolare posto nell'angolo destro del salotto della vecchia casa colonica ristrutturata, dove abitava, Cristian aveva rimembrato quella notte di maggio del precedente anno che era riuscito a portare a termine il suo capolavoro e si complimentava con se stesso per il modo con cui era riuscito a completare la sua opera artistica e nello stesso tempo conquistare Silvia. Quel murales, iniziato e terminato in una sola notte, da lui disegnato sul muro in cemento che affiancava l'ingresso esterno del Liceo Scientifico F. Buonarroti di Pisa, il suo sogno di giovanissimo artista, era stato il modo per far sapere al mondo che il creatore di quell'arte, l'americano Keit Haring deceduto a causa dell'AIDS, a poco più di trent'anni, aveva oggi un antagonista, lui, Cristian Berti, soprannominato, all'unanimità: "Scorfano"! Quell'opera era un pezzo della sua anima più profonda. Aveva impiegato molto tempo in quel progetto, studiandolo nei minimi particolari, sequenziando il metodo organizzativo che gli aveva permesso di poterlo generare, nelle poche ore disponibili in quella serena e buia notte di luna nuova. Le stelle, nitide e brillanti, in quel cielo scuro che gli faceva da tetto, lo avevano aiutato a concentrarsi, a raccogliere tutta la creatività, come se la sua mente fosse collegata ad una sorta di frequenza medianica e avesse sprigionato idee compresse dentro di essa che, non potendo essere più contenute per mancanza di spazio disponibile, fossero esplose, spumeggianti, come il liquido che fuoriesce da una bottiglia di spumante appena se ne estrae il tappo. Silvia si era rivolta a lui con ammirazione. I suoi occhi grandi e nerissimi erano nascosti dal buio di quella notte, ma Cristian sapeva che lo sguardo di lei lo stava seguendo nei minimi dettagli e,  come fosse in trance, lui sceglieva i vari colori. La fascia che portava in testa gli permetteva di tenere ancorata a essa una piccola lampada a led che, con il suo forte fascio di luce, permetteva di illuminare il pezzo di muro sul quale lui lavorava. Era certo che i bellissimi occhi sensuali e profondi, della ragazza, fossero capaci di assorbire dentro di essi tutti i colori e le forme che stava disegnando. Li sentiva puntati su sé stesso come se lo avessero imprigionato e nello stesso tempo riuscissero a muovergli le  mani e le  braccia in modo tale che, attraverso gli strumenti e i colori, gli arti superiori si facevano artefici  e, nello stesso tempo, complici di quella sua opera muraria. Quel gesto carnale, da parte della ragazza nei suoi confronti, quel lungo bacio sulla bocca che, alla fine del lavoro, Silvia gli aveva concesso, fu per lui il sentirsi completamente avvolto nell'attenzione di quella bellissima creatura. Due anni prima, la ragazza era arrivata dalla capitale. Se l'era ritrovata in classe, nel  banco accanto e gli aveva sconvolto l'esistenza. Silvia, invece, si era subito irritata per quel posizionamento forzato e provvisorio, accanto a quell'individuo così poco fico e particolarmente addobbato. Lei sempre elegante e con i doverosi accessori rigorosamente firmati. Lui casual, o meglio, poco casual, anzi, particolarmente chiodato e adornato di piercing al naso e abbondanti campanelle metalliche inserite nei numerosi fori che aveva sui lobi e sui padiglioni delle orecchie. Pensò subito che quel posto vuoto accanto al ragazzo lo era perché chiunque si sarebbe tenuto a distanza da un individuo così. Poche ore dopo venne pure a conoscenza che Cristian, per l’intera classe, era solo lo “Scorfano”. Faticò un po’ per capire il motivo di tale definizione finché Carolina, la tipetta pepata della classe, con modo di fare mieloso, da vera ruffiana qual era, spiegò a Silvia la poca differenza che c'era, secondo lei, fra un muggine d’Arno e uno scorfano di mare, pescato in quel di Livorno: il primo, disse, che puzzava di fosso, il secondo che era buono solo per insaporire il cacciucco ed entrambi erano brutti da far paura. La spiegazione avvenne con gesti mimati e con un fare tale da far apparire la ragazza, alla platea che la stava ascoltando, come una via di mezzo fra una attrice teatrale e un vero scaricatore di porto. Prima che Silvia capisse bene il tutto, Carolina le illustrò, in dettaglio, di che cosa fosse costituito il precedentemente accennato e tipico piatto livornese, a base di pesce e frattaglie del medesimo, ben apprezzato anche nel pisano. Concluse, tanto per ribadire in termini più chiari quel che aveva prima enunciato con  metafora, dicendo che fra Cristian e i poco gradevoli pesci descritti, considerando che il compagno di classe era anche parecchio secchione, sempre secondo una logica personale ed ai più sconosciuta, proclamò che la differenza era pressoché pari a zero. Cioè senza far capire cosa ci combinasse l'esser secchioni, con il muggine e lo scorfano. Forse solo perché entrambi son pesci e, l'acqua, che può essere contenuta dentro ad un ipotetico secchio, avrebbe unito  in condivisione forzata i tre elementi, o per qualche altro futile motivo, inimmaginabile, su due piedi, a qualsiasi grado di intelligenza leggermente superiore rispetto a quella dell'interlocutrice in questione. Considerando l'antifona che il ragazzo proveniva dalla Valgraziosa, zona di vallini e ruscelli profumati ma, per chi è abituato allo  smog cittadino delle ore di punta, che non si può neppure immaginare minimamente il fresco odore naturale del verde che irrora l'etere, per l'olfatto e la vista di chi ha la fortuna di vivere a contatto con la flora del  Monte Pisano, non conoscendone alcuna differenza e facendo di tutta l'erba un fascio, i bei ruscelli avevano preso la nomina e  le sembianze di soli e dispregiativi fossi puzzolenti. Letti, appunto, adatti a muggini, secondo la versione personale e a un solo senso, quello dei bischeri, di Miss Carolina.

Cristian, soccombeva sempre, con rassegnazione, a quel che stava accadendo. Quel pomeriggio stava proprio pensando al bello di quella volta, quando durante la "sua" notte,  come se l'universo si fosse di colpo capovolto e le cose avessero cominciato a funzionare per assurdo, alla rovescia,  Silvia, dopo quel lungo bacio,  sfiorando con la bocca l'orecchio adornato di Cristian gli sussurrò: "Finalmente e solo per merito tuo:  la rivincita a quell'orribile amputazione  su quel pezzo di Phase 2. Lonny Wood sarebbe entusiasta di questa tua opera muraria. Mi chiedo come sia stato possibile distruggere un'opera del mitico Lonny con un'assurda, rudimentale, ignobile, arrugginita, scala di ferro grezzo! Cristian sei il mio eroe!"
Quella sola parola pronunciata da Sivia, "eroe", fu per lui musica sublime, sentimento di amore, grandezza universale, tutto ciò di cui  Cristian aveva esclusivamente bisogno, tanto da non ascoltare più assolutamente altro di ciò che di bello, lei, gli stava sussurrando ancora.
Quella sera era arrivato a casa raggiante perché quella bella ragazza mora,  alta almeno un palmo di mano più di lui, che la prima volta che lo vide si era irritata solo a guardarlo e si era fatta spostare di banco dopo meno di un'ora, colei che  sembrava irraggiungibile, che per quasi due anni, lui, aveva ossessivamente e furtivamente osservato a lungo dal proprio banco posto in fondo all'aula disadorna e poco piacevole del non vecchio di tempo ma di decadente struttura che era il liceo che frequentava, era diventata la sua ragazza.  Da quella sua postazione nell'aula, con lo sguardo perso nella traettoria che gli permetteva di osservare Silvia, ogni istante, aveva meditato a lungo sul come poter rendersi simpatico a lei. Finché non aveva scoperto quella ammirazione incredibile che legava Silvia a Lonny Wood, meglio conosciuto con lo pseudomino di Phase 2. E allora aveva capito di avere una possibilità per raggiungerla: lui si sentiva un artista e amava disegnare sui muri. 

Ora Silvia, oltre che ad averlo chiamato "suo eroe", desiderava pure che un vetro, come quello posizionato sul muro esterno della parete laterale della chiesa di S. Antonio Abate a Pisa, l'ultima opera pubblica dipinta da Haring, potesse essere posizionato, per sempre, davanti al capolavoro di Cristian in segno di riconoscimento di quell'arte. Pensava e ripensava a quando lei, gli disse di portarla a Venezia, nella città degli innamorati, di luglio e, precisamente, meditava su quel 10 luglio dell'anno prima e..., in quel preciso momento, vivendo la realtà di ciò che di terribile stava accadendo,  cominciò ad intuire e a collegare, vagamente, qualcosa...







- II Capitolo -



LUI




Cristian Berti, pisano di nascita e residente a Tre Colli di Calci, soprannominato "Scorfano", fin dal primo giorno di scuola, presso il liceo al quale si era iscritto, era un ragazzo poco apprezzato, sia dai suoi compagni di classe, sia dagli abitanti del suo paese, proprio per l'estro murario e anche per il suo modo stravagante di vestire, fuori dai canoni comuni. Era stramaledettamente bravo a scuola, tanto da avere dieci a lettere, filosofia e a storia dell'arte: cosa, della quale, Cristian si vantava con tutti. Per i suoi paesani, uno come lui, di carattere introverso, era poco inseribile nel contesto locale, caratterizzato da una zona colma di ulivi e inserita in un luogo costruito su alcuni antichi feudi medioevali. Territorio, quello di Calci, oggi rappresentato da una pieve romanica e da una Certosa Monumentale ben conservata e sede di un importante museo di storia naturale. La modernità di Cristian e la sua arte sconvolgevano quell'equilibrio. 

Quel giorno che vide piangere Silvia, davanti alla scala in ferro, sotto i loggiati esterni dell'istituto, inizialmente pensò che forse non erano fatti suoi, ma poi le si avvicinò e, lei, con quei bellissimi occhi neri, colmi di lacrime e i suoi capelli neri, mossi, che movimentati da una leggera brezza, le si appiccicavano sui rivoli bagnati che scorrevano abbondanti sulle sue guance, gli confessò l'amore che nutriva per quell'arte.

Quella scala di ferro, lì, davanti a lei, come aveva già scritto qualcun altro, prima, proprio su quel muro, oscurava l'opera di Lonny.

Tutto questo passò per la mente di Cristian vorticosamente, in pochi secondi, mentre, non credeva ancora a ciò che, in quel preciso momento, realmente, stava accadendo a lui ed a migliaia di persone nel raggio di trenta e più chilometri dalla postazione in cui si trovava.

Il terzo capitolo è pubblicato.  Fare clic qui per leggerlo!

Il quarto capitolo è pubblicato.  Fare clic qui per leggerlo!

Il quinto capitolo è pubblicato.  Fare clic qui per leggerlo!

Il sesto capitolo è pubblicato.  Fare clic qui per leggerlo!

Autore: © Tiziano Consani 

Questo racconto, in SETTE capitoli, è offerto in lettura gratuita da: 


Il racconto è frutto della fantasia dell'autore. I personaggi che lo animano, i loro nomi, i soprannomi e i fatti accaduti, sono tutti inventati, mentre i luoghi pubblici e quelli geografici sono reali. Come reali sono gli artisti citati e le loro opere.

La produzione è sempre quella e  ultima, della "Stanza n. 5" ...

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